La Ballata di Gerusalemme

di Secessionista


Nella strada affollata l’uomo stava riflettendo tra sé, attento a scansare i passanti, distratti dall’euforia degli ultimi acquisti prima di Natale. Era stato incaricato di commettere un piccolo furto, tanto insignificante da poter essere quasi definito banale. Se non fosse che, a causa di un furto simile, qualche anno prima erano crollati i due grattacieli più alti del mondo, con il loro immane carico di vite umane. Se avesse avuto un po’ di coraggio, avrebbe mollato tutto e sarebbe scappato in qualche sperduto paese dell’America Latina. Ma doveva fare i conti con la sua inestirpabile propensione al lusso, con i costi della scuola svizzera del figlio, con le mille voglie della sua ultima partner. Inoltre, non era certo che esistesse un luogo tanto remoto da sfuggire allo sguardo indagatore dei suoi datori di lavoro.

Aveva anche considerato di andare alla polizia, a riferire tutto ciò che sapeva di molti degli attentati più sanguinari verificatisi negli anni dopo il duemila. Purtroppo, l’unico risultato che poteva aspettarsi era un ricovero in qualche clinica per malattie mentali. Quindi, non poteva far altro che onorare l’impegno e consegnare la solita merce al solito indirizzo (un’anonima casella all’ufficio postale di un quartiere parigino). Per l’immediato, invece, non aveva preoccupazioni di sorta. Sapeva che l’appartamento sarebbe stato libero alle ventuno precise, quando la sua vittima, ignara, avrebbe chiuso il pesante portone di ferro per andare a cena in centro, come faceva ogni sera. Controllò l’ora e rialzò il bavero del cappotto. C’era il freddo tagliente che rende più dolce esagerare con il vino, la sera del cenone. C’erano i visi inebriati di chi usciva dai grandi magazzini con l’ultimo regalo sottobraccio. Eugenio Bravetta si divertì ad osservare un tipo che tentava disperatamente di infilare un enorme scatolone nella sua auto. Alla fine, se ne andò con il pacco mezzo fuori dal finestrino. Anche lui aveva una famiglia dalla quale tornare. Bravetta, dal canto suo, aveva già organizzato la solita cena con troppe portate e poca allegria, anche se i suoi ospiti non sembrava mai accorgersi del suo stato d’animo reale, mentre scartava i regali o invitava una bella donna a danzare. Mancavano solo cinque minuti. Spense il cellulare ed attraversò la strada con calma, quasi scontrandosi con il giovane intabarrato che arrivava dal numero 5 di via Tito Livio.

Ora doveva far in fretta. Entrò circospetto nell’atrio rivestito in marmo del vecchio palazzo. Doveva fare tre piani di scale a piedi, perché in ascensore qualcuno avrebbe potuto notarlo troppo facilmente. La porta dell’appartamento era di un modello antiquato come tutto il resto. Fu facile forzarla senza il benché minimo rumore. Dentro, faceva molto caldo. Perlustrò brevemente il corridoio fermandosi sulla soglia dello studio. Era quella la stanza del tesoro. Sulla scrivania, una cartellina di cartone con un titolo “La ballata di Gerusalemme”. La aprì per un istante, controllò che fosse piena di fogli dattiloscritti e se ne andò subito, indifferente alla possibilità che quella casa potesse contenere altre cose di valore. Nessun rumore. Nessun incontro sgradito. Era andato davvero tutto liscio. Nel parcheggio deserto di via Treves, l’ auto era ancora al suo posto, nel lato meno illuminato del piazzale. Vi salì, ma non mise in moto. Rifletté ancora una volta sulla follia dei suoi padroni. Da otto anni, avevano avviato un gioco crudele, nel quale lui aveva l’incarico di rubare una sceneggiatura ad un autore sempre diverso, che veniva scelto in modo casuale. Il resto della faccenda consisteva nel mettere effettivamente in atto ciò che lo scrittore di turno aveva solo immaginato. Se, per assurdo, avesse pensato di far scoppiare la terza guerra mondiale, loro si sarebbero preoccupati di far diventare reale ogni avvenimento descritto nella trama. E nessuno si riteneva responsabile degli orrori che provocava. In fin dei conti, loro si limitavano ad realizzare le fantasie di altri.

Questo osceno meccanismo era stato usato per l’abbattimento delle Twin Towers, per una serie di sanguinosi attentati in Spagna, per l’affondamento di una petroliera al largo della Norvegia e per molti altri delitti avvenuti in tutto il mondo. Combattuto tra la voglia di sapere quale sarebbe stato il prossimo disastro, e il desiderio di restarne all’oscuro, Bravetta strinse le mani sul volante e vi poggiò la faccia. Si sentiva stanchissimo. Anche se lui era semplicemente un ottimo ladro, si considerava comunque un assassino. Stava per azionare lo starter, quando la curiosità ebbe il sopravvento. Aprì il fascicolo all’ultima pagina e lesse le righe finali.

Dicevano: – dopo quindici anni di guerre e di tragici attentati, ebrei e palestinesi hanno finalmente trovato un’intesa. L’accordo, siglato da tutte le parti in conflitto, prevede tra l’altro che il lungo muro tra Israele e Cisgiordania venga abbattuto, lasciando al suo posto una strada alberata in cui ogni albero rappresenterà un martire della secolare incomprensione tra i due popoli. Per celebrare un avvenimento così bello ed importante, un poeta ebreo ed un musicista palestinese stanno scrivendo insieme la “Ballata di Gerusalemme”. Su questa musica, scorrono i titoli di coda.

Eugenio chiuse il manoscritto con le mani che tremavano. Lo scellerato accordo tra i suoi datori di lavoro prevedeva che la sceneggiatura venisse realizzata, qualunque fosse il suo contenuto.

Avviò l’auto fischiettando e piangendo insieme. Quello, sarebbe stato di sicuro un Natale di pace.

Racconto  di Carlo Alberto Turrini