Danzica

A quel tempo, Danzica non era né polacca né tedesca. Ai nazisti faceva gola quel porto e lo sbocco sul mare, ma l’attacco era comunque di là da venire. Noi lo sapevamo, che prima o poi ci avrebbero fatto la festa, ma nel frattempo vivevamo nel limbo, cercando di far come se niente fosse, attendendo le nostre faccende e cercando di goderci il tempo che rimaneva.

Dopo il lavoro, andavo a casa per stradine tortuose e mal illuminate, facevo il bagno per togliermi di dosso la polvere del carbone che caricavamo sulle navi a forza di argani e bestemmie. Mangiavo un po’ di minestra e mi mettevo a leggere, in attesa che un sonno di piombo mi chiudesse gli occhi. Il sabato sera però faceva eccezione. Dato che si lavorava solo fino a mezzodì, potevo uscire la sera in giro per locali, dove le birre e la compagnia chiassosa mi faceva dimenticare quel senso di morte imminente che gravava sulla città.

Fu in uno di quei locali che la vidi. Suonavano una musica strampalata. Uno strano miscuglio di canzoni popolari e melodie zingare. Era una musica fatta per ballare. Così, la invitai al centro della sala guardandola con un sorriso sfrontato. Un’altra donna se ne sarebbe risentita, ma lei accettò subito, ricambiandomi con un’occhiata altrettanto provocante. Mentre la facevo girare sulla pedana aspiravo a pieni polmoni l’aroma dei suoi capelli. Sapevano di fieno ed aria fresca. Più in basso, percepivo l’altro odore, quello greve e misterioso di una pelle eccitata.

Fuori, la nebbia stava salendo a strati via via più pesanti, sicché la via pareva sparire appena qualche metro oltre la porta. Disse che faceva la cameriera in una famiglia di commercianti e mi chiesi se non fossero magari proprio gli stessi che pagavano anche me. Ad ogni modo, il discorso su ciò che eravamo in quel momento finì subito.

Preferimmo parlare di come poteva esser bello scappare in America, la terra delle grandi occasioni, appena avessimo avuto sentore che il nemico stava arrivando. Solo che per partire ci volevano soldi, anche. La disperazione da sola non sarebbe bastata. Nelle mie letture serali avevo imparato parecchie cose sulle enormi città costruite di là dell’Atlantico. Conoscevo i nomi dei grattacieli più alti ed anche quelli delle strade, affollate ad ogni ora del giorno. Le parlai di questo e di tante altre cose. Il baseball, la spiagge di Coney Island, i parchi di divertimento con gli ottovolanti che sfidavano il cielo. E mentre discorrevo vidi il suo sguardo farsi fanciullesco. Pian piano, ridiventò la bambina allegra che doveva essere stata in un passato poco lontano.

Non volevo sedurla, perlomeno non volevo sedurla con le chiacchiere, ma alla fine fu così che accadde. Quando l’orchestra smise di suonare avrei voluto semplicemente salutarla e andarmene. Lei però mi rivolse una muta preghiera e capii che non avrebbe accettato di finirla lì. Mi offrii dunque di accompagnarla a casa. L’aiutai ad indossare un cappotto piuttosto logoro e ci infilammo sotto il cappuccio ovattato che la nebbia aveva steso sulle vie cittadine. Non disse nulla. Solo, mi stringeva il braccio con forza, incollando il suo corpo al mio finché arrivammo in vista del portone. Allora, sapendo che dopo sarebbe stato troppo tardi, mi chiese di tornare indietro, magari di andare a casa mia, se era possibile.

Per quanto ne sapeva, potevo anche essere sposato. Annuii in silenzio, colmo di gioia. Mentre aprivo la porta, mi sentii per la prima volta davvero a casa. Non ero più solo, almeno per quella notte. Malgrado siano trascorsi molti anni da allora, non mi piace l’idea di tradirla raccontando ciò che accadde dopo. Posso solo dire, anzi, devo farlo, che fu l’amante più meravigliosa che abbia mai incontrato. Il mattino dopo, si alzò di buonora. Aspettai che si servisse del bagno per farle trovare il caffè ed una fetta di pane imburrato. Di più non potei offrirle. Il suo lavoro iniziava molto presto, perciò la accompagnai che era ancora buio.

Quando fu giorno pieno, ed io stavo già a battere i piedi sulla banchina per il freddo, arrivarono i tedeschi. La sera seguente tornai al locale dove l’avevo conosciuta, trovandolo inaspettatamente chiuso. La stagione delle canzoni era finita per sempre. Lasciato quel posto, non me la sentii di tornare a casa. Vagai avanti e indietro al porto e infine riuscii ad imbarcarmi da clandestino, su un piroscafo che faceva rotta verso New York, dove sono rimasto fino ad oggi. Non ho più saputo niente di lei, ma è certo che da qualche parte nel mio cuore vive ancora.