Primavera Sacra

Storie dal sottosuolo

Categoria: dolore

Appunti sulla depressione

La depressione è uno stato fisico ben definito. Quando si è tristi si dice: “Sono a terra”, mentre chi sta sperimentando la felicità afferma: “Sono al settimo cielo”. La depressione, dunque, è uno stato basso, orizzontale, privo di movimento. La vicinanza con la terra rassicura il depresso. La terra è solida e si può toccare. Il settimo cielo è astratto e intangibile. Al depresso profondo spesso è mancata la carezza fondamentale, così, cerca di ricrearla avvolgendosi nelle coperte. Lo stato di sonno o dormiveglia è preferibile alla consapevolezza perché è simile al galleggiamento nel liquido amniotico.

Il salvadanaio

Era un bambino gracile. Gambette magre, pelle e occhi scuri, come i capelli, che però diventavano striati di biondo quando stava al sole d’estate. Vide che la mamma stava armeggiando intorno alla serratura del suo salvadanaio e si mise a piangere: “Sono miei i soldi che ci sono qui dentro. Perché li vuoi prendere?” La madre lo guardò, torva: “Mi servono. Sono rimasta senza e devo comprarci l’affettato per fare un panino a tuo padre. Lo sai che sgobba tutti i giorni per noi, vero?” A quelle parole, il bimbo si chetò, pensando che se i suoi soldi servivano a mangiare era giusto che lui li perdesse. In seguito, mamma vendette i piccoli gioielli che il bambino aveva ricevuto in regalo per la comunione e la cresima. Il motivo era sempre lo stesso. “C’è bisogno di soldi. Stai zitto e non lamentarti. Poi si scoprì che i soldi, tanto soldi, venivano spesi in decine di bollette del Lotto. Diventato adulto, quel bambino fu uno scialacquatore. Appena aveva qualche banconota la spendeva per comprarsi qualsiasi cosa. Anche il più inutile del gadget. Preferì far così, piuttosto che vedere i soldi sparire nel nulla.

Dedicato a tutte le persone che soffrono di ludopatia, ma sopratutto ai loro congiunti e familiari, costretti ad una vita misera da questa terribile tossicodipendenza. Con il disonore di uno Stato che molto ha fatto e sta facendo per diffondere il più possibile questa piaga tra gli italiani.

Sul progresso

Stimolato anche, ma non solo, da una riflessione di Susanna Schimperna su Facebook, mi trovo a fare i conti con quell’immagine astratta, ma ben inculcata in ognuno di noi, che comunemente definiamo “progresso”. Si può definire progresso la tecnologia? No. Si può definire migliore degli altri lo stile di vita occidentale? No. Dal momento che la tecnologia ed il modello sociale tipico degli stati occidentali comportano un depauperamento del pianeta, essi non sono positivi. In effetti, non appartiene in alcun modo al pensiero occidentale o alle democrazie la capacità di debellare la guerra, le ingiustizie, la prevaricazione. L’unica differenza che vedo nel combattimento tra truppe americane, russe o israeliane ed i loro storici avversari è data dalla qualità delle armi usate, cioè dalla loro migliore e micidiale efficacia. La mia speranza che l’evoluzione della specie significhi anche evoluzione umana verso il bene è quotidianamente disattesa dalle notizie che ci arrivano dai luoghi di guerra. E qui sinceramente non riesco a vedere differenze tra il Medio Oriente e l’Ucraina. Un’analisi condotta senza moralismi dirà che il motivo di fondo di tali orrori è da ricercarsi nella necessità di arraffare il maggior numero possibile di risorse, dato che siamo in troppi su un pianeta sempre più povero. Ma è altrettanto vero che ci basiamo su un modello, il capitalismo, che può restare in piedi solo continuando ad ingrassare, proprio come uno stomaco vorace che per saziarsi ha bisogno di mangiare più cibo ad ogni pasto. Eppure, sappiamo anche che questo modus operandi non può continuare all’infinito. I cervelli confusi e malati che vedono la guerra come una soluzione dolorosa ma efficace a questo stato di cose sono perdenti per almeno un paio di ragioni. La prima è che laddove la guerra divampasse ovunque non sarebbe più nemmeno un’operazione “sanitaria” di spopolamento mirato, ma un suicidio, la seconda è che considerare la guerra come una scelta possibile, e in certe situazioni auspicabile, ci pone al di là di ogni pretesa di progresso. Come possiamo considerarci più progrediti di altre civiltà nel momento nel quale ammettiamo la guerra come un’opzione praticabile? Vedete qualche differenza tra chi uccide tagliando la testa al suo nemico e chi lo vaporizza con un missile? Tutto questo accade perché non siamo stati capaci di porre la politica al di sopra del potere economico. Il fallimento della politica ha di fatto impedito una forma di coordinamendo mondiale delle risorse, a partire dal controllo delle nascite e dalla gestione responsabile delle fonti energetiche, delle materie prime, dell’ecosistema. Dopo più di un secolo usiamo ancora veicoli inquinanti ed avidi di energie, solo perché questo stato di cose è nell’interesse di alcune grandi compagnie petrolifere. Se non ci fosse più l’impellente necessità di petrolio molti paesi delll’Africa e del Medio Oriente avrebbero governi stabili e garantirebbero ai loro cittadini una miglior qualità della vita. La destabilizzazione di nazioni come la Siria e la Libia serve solo a rapinarle delle oro materie prime senza doverle pagare il giusto prezzo. Non so se altri Paesi saprebbero compiere scelte più intelligenti, ma è certo che la Gran Bretagna e StatiUniti continuano a fare disastri da troppo tempo per lasciarli fare ancora. Dobbiamo trovare un nuovo modello di sviluppo nel quale il denaro torni ad essere uno strumento e non uno scopo, altrimenti arriveremo presto alla fine. Chi ironizza sulle critiche al capitalismo, dicendo che non esistono altre vie, è solo un Homoraptor incapace di accettare l’idea che l’evoluzione lo cancellerà per sempre dalla faccia della terra.

Sipario di velluto

Il pesante sipario è di velluto rosso bordeaux, un po’ consunto ai lati.

 

Il gioco di luci che lo illumina assume la forma di una conchiglia verticale, ma poiché muta di continuo, dopo attimi diviene simile ad una verga, o caduceo, cambia ancora in una vaga silhouette femminile…

 

Bisbiglii.

Non dalla platea, bensì dal palcoscenico.

 

Il sipario si apre, mostrando un interno borghese: il salotto a pozzetto in pelle, il tavolino di cristallo, le finestre bianche, un grande apparecchio televisivo, quadri astratti dai colori violenti.

 

Lui: “Davvero non vuoi darmi il piacere che non genera?”

 

Lei: “Vorrei, ma la mia mente si ribella all’idea”.

 

Lui: “Ma nelle cose dell’amore sei maestra. Nulla ti è proibito. Possibile che non ti riesca una cosa tanto semplice?”

 

Lei: “ Sarà semplice per te, o per le tue vecchie amanti. A me non piace.”

 

Fine del primo Atto

Si riapre il sipario

Sono trascorsi dieci anni…

 

 

 

Lui: “Mi hai insegnato variazioni degne di Venere ed Eros. Te ne ringrazio. Ti senti pronta ora a darmi quel piacere stravagante?”

 

Lei: “Né ora né mai. Non ne vedo la bellezza, il godimento. Quando lo immagino, provo invece un insopportabile fastidio.”

 

Lui: “E’ l’unico gesto che ci manca per essere amanti completi.”

 

Lei: “Se è così che la pensi, non hai ben compreso la qualità del nostro amore.”

 

Fine del secondo Atto

Si apre il sipario, su un salotto diverso: alle pareti, foto di bambini e gatti. Il divano è coperto da un plaid rosso scozzese, non c’è più l’apparecchio televisivo, mentre ora vediamo un pianoforte nell’angolo.

 

Lui: “Ti lascio.”

 

Lei: “Perché? Tutti questi anni insieme dimostrano l’immensità di ciò che proviamo l’uno per l’altro.”

 

Lui: “A Milano ho incontrato per caso un rappresentante di aspirapolvere.”

 

Lei: “Si? E allora?”

 

Lui: “ Eravamo al bar dell’Ambassador. L’ho visto piuttosto brillo e gli ho offerto di accompagnarlo in camera. Non si reggeva in piedi.”

 

Lei: “Ancora non vedo il nesso.”

 

Lui: “Mi ha parlato di una donna la cui più potente arma di seduzione è il culo, che concede con generosità.”

 

Lei: “Capisco. Ti sarai fatto dare il suo numero…”

 

Lui: “Sei tu.”

 

Sipario

Sul dolore di vivere

E' vero che il depresso cerca i segni della sua depressione anche fuori di sè stesso, che preferisce leggere notizie cattive, che vorrebbe distruggere il mondo perché (forse) tale disastro sarebbe un suicidio perfetto.